Roberto Polli: un ragazzo del ’99 nella battaglia d’autunno
Roberto Polli (Acquasparta 1899 – Spoleto 1997) è un giovane ragazzo umbro che, appena diciottenne, partecipa alla Grande Guerra. Inserito nel Genio Telegrafisti (come Alessandro De Nobili di Cerreto di Spoleto), arriva sull’Altopiano dei Sette Comuni nel settembre del 1917 e vi rimane fino al settembre del 1918. Dal suo racconto si evince come la battaglia di Caporetto fosse estesa su tutto l’arco alpino.
Riportiamo, per gentile concessione della famiglia, una parte del diario pubblicato in Roberto Polli, “Un ragazzo del ’99. Dall’Altopiano di Asiago al Carso“, Associazione Storica Cimeetrincee, 2015 (Arti Grafiche D&D – Lecco). La pubblicazione del diario di Roberto Polli è stata possibile grazie Associazione Storica Cimeetrincee e all’ “Associazione storico-culturale Fronte sud Altopiano sette comuni” con sede a Cesuna di Roana (http://www.frontesudaltopiano7comuni.it/).
Battaglia d’autunno: Caporetto – 1917
Circolano voci, fra le truppe, che avremo un ritorno offensivo in grande stile, dalle truppe austro-tedesche. Sono voci vaghe e imprecise. L’ufficio informazione del fante dà queste notizie e difficilmente sbaglia. Vedremo! Su quale zona si sferrerà l’attacco? Quale obbiettivo avrà? Quale portata? Si dice che per l’occasione, verrà lanciato un gas nuovo e micidiale. Le maschere di cui siamo forniti non serviranno a nulla. È evidente che si vuole impressionare il combattente con subdole parole. Propaganda o balle? Eppure dalle valli continuano a salire armi, munizioni, viveri. L’autunno porta pioggia e nuvole, ad intermittenza. Saranno vere le notizie messe in giro, oppure l’esercito italiano si appresta ad una nuova, violenta offensiva? Un po’ di nervosismo è in noi. [….] Attraverso le comunicazioni telefoniche cerchiamo di capire se, in realtà, i comandi sono a conoscenza delle intenzioni nemiche e prendono i giusti provvedimenti. Nulla traspare, o quasi, dai fonogrammi che circolano, fra reparto e reparto, fra comando e comando; sembrano o sono di ordinario servizio.
I voli degli aerei nemici si fanno insistenti; le nostre artiglierie sparano. Forse gli osservatori avversari stanno calcolando i dati per preparare il minacciato attacco, compiono rilievi, controllano gli aggiustamenti di tiro delle proprie artiglierie.
I nostri cannoni, le mitragliatrici, i velivoli si accaniscono, però a respingere le incursioni aeree che non sempre riescono bene. I più audaci volano a bassa quota ed a velocità notevole, non curandosi della fucileria, che la fanteria loro regala, unita al rabbioso tiro delle mitragliatrici antiaeree. In alcuni casi le artiglierie devono cessare il tiro, quando i velivoli si occultano dietro i dorsi montuosi, lo riprendono al loro riapparire. Essi compiono veri virtuosismi acrobatici, di salite e discese, per non essere colpiti. […] A volte li fa precipitare in fiamme. E questo succede anche agli italiani […] All’alba, in unione a un caporale della stazione telefonica, mi sono recato per servizio, verso le trincee di prima linea. A Brendola sprofondata nella parte bassa della conca di Asiago […] Incontriamo due ufficiali superiori che guardano, protetti da alcuni alberi, le posizioni austriache visibili e controllano carte topografiche. Forse studieranno qualche piano di offesa, o di difesa, prenderanno dati per qualche sbarramento di fuoco in caso di azione nemica. Uno è di artiglieria, l’altro di fanteria […] Mentre camminiamo, d’improvviso, compare un aeroplano nemico che ci volteggia sopra. Le batterie italiane lo prendono sotto tiro per respingerlo. Il fuoco è impreciso anche per le distanze delle batterie antiaeree. Il velivolo vola molto vicino alla prima linea e le artiglierie sono su le cime retrostanti, cioè dietro Cesuna, sul Cengio, sul Kaberlaba e altrove. I gruppi accampati nella zona non fanno uso delle loro armi per non scoprire la propria ubicazione. È evidente che l’aviatore in ricognizione va in cerca di preda. Ce ne accorgiamo quando, con audacia improvvisa, piomba in basso e lascia cadere due bombe su di un reparto di fanteria che si dirige dalla nostra parte. Le bombe esplodono a vuoto e scaraventano in alto vegetazione e sassi. L’importuno non se ne va, non curandosi del fuoco delle batterie italiane, continua a incrociare sopra le nostre teste. Poco dopo i cannoni austriaci sparano su la strada che percorriamo. La traiettoria non è giusta, i proiettili vanno a cadere lontano, varie centinaia di metri da noi e dal reparto di fanti che marcia su terreno scoperto. Certamente l’osservatore aereo ha segnalato e continua a indicare la precisa posizione per farci colpire […] Vista la cattiva piega dell’avvenimento, decidiamo di allontanarci correndo. Anche il gruppo di uomini si pone di corsa, va a trovare un ricovero valido dietro un roccione […] La valanga di ferro crepita su l’altopiano,morde le nostre posizioni […] La nostra artiglieria non dorme, risponde con le bocche ardenti, vomita proiettili su proiettili, su le posizioni nemiche […]. Il fante vive ore d’incubo e di maledizione, annidato nella terra che non sufficientemente lo protegge […] Da tutte le linee telegrafiche, telefoniche, ottiche, sotterranee, si sente la spasmodica tensione degli animi […] Il vasto altopiano di Asiago e i monti circostanti fumigano, come incendiati, sussultano, ardono, afferrati dai tentacoli poderosi della lotta […]. L’ordine è di stare nei pressi del comando, sempre pronti a qualsiasi evenienza […]. Restiamo fino a notte inoltrata, fuori dei ricoveri, salendo fino alla cima del monte, a contemplare l’insolito spettacolo dell’intenso bombardamento che fiammeggia senza pause, su l’ altopiano […]. Il centralino telefonico ha le braccia troncate, essendo quasi tutte le linee interrotte. I portaordini sono incaricati di supplire il momentaneo disservizio, forzato, dei telefoni […] Comprendiamo che il momento assume una drammaticità insolita e gli eventi precipitano […]. Piove. L’altopiano sembra scomparire, sotto la coltre di nubi plumbee […]. Chiusi nell’angusto centralino, nel pomeriggio stiamo desiderosi di notizie che non vengono […]. Il comandante del gruppo si allontana dalla sede, in seguito a una conversazione avvenuta col comando superiore. Il maggiore addetto, quando parla al telefono sembra che urli di collera, dà disposizioni secche, decise: “continui il fuoco di batteria, dobbiamo resistere a qualunque costo, stia sempre all’erta, capitano, e punisca chi non fa il proprio dovere”.
Mentre stiamo, silenziosi e preoccupati […] in baracca, un compagno ci comunica la notizia […] di quanto sta avvenendo su la fronte della 2° Armata. Restiamo meravigliati e perplessi. La resistenza di quelle truppe si sgretola. “L’offensiva austro-tedesca ha aperto un varco, minacciosa avanza.
La nostra linea difensiva, nel Veneto, è stata travolta. L’esercito ripiega disordinatamente.”
È la catastrofe ?
Lasciamo il centralino. “Questa notte dormire vestiti, con la maschera attaccata al petto.” Ci viene ordinato. Pronti a muoversi. Ognuno di noi ha l’incarico, se giungerà la notizia temuta, di portare in salvo il proprio apparecchio telefonico, pile, filo e quanto può essere trasportato ,oltre alle armi.
Sui ponti e le strade del Veneto, incanalate disordinatamente, truppe e popolazioni fuggono, sotto il torvo alone di nubi. I velivoli nemici piombano su di esse, come uccelli da preda, mitragliando e lanciando bombe. Ardono i magazzini viveri, abbandonati e sconvolti nella tumultuosa ritirata. Anche nei grandi parchi, numerosi animali da macello, che dovevano servire per il rifornimento di quella parte dell’esercito, cadono uccisi dalle fucilate. Finiscono bruciati dalle fiamme. Non devono cadere preda del nemico. Alcuni gruppi, nel ritirarsi disordinatamente, abbandonano le armi e fuggono senza guida né meta. Entrano nelle case abbandonate, per trovarvi viveri o quanto possa loro interessare.
Sull’altopiano, le truppe avversarie hanno rioccupato Asiago abbandonata dagli italiani. Tentano ancora di salire, attraverso la valle, premendo contro la barriera montana. La manovra potrebbe, convergendo in direzione del mare, imbottigliare il nostro esercito. La nostra permanenza nei luoghi dove ci troviamo dipenderà anche dall’arretramento delle truppe della Venezia Giulia […]. La battaglia arde ancora per giorni. L’avanzata austro-tedesca continua senza soste. Città e villaggi cadono nelle loro mani. Il comando gruppo ha avuto l’ordine di spostare la propria posizione, arretrandola dall’attuale […] appena verranno compiuti i necessari collegamenti telefonici […]. Noi del Genio abbiamo molto da fare per queste modifiche […] siamo occupati a stendere linee su strade e mulattiere, attaccandole agli alberi o stendendole al suolo […]”.
L’autore del diario, Roberto Polli, partì per la guerra nel luglio del 1917, insieme all’amico e coetaneo Gaspare Sabatini, che non tornò. Entrambi avevano diciotto anni. Roberto Polli fu congedato nel 1921, dopo circa quattro anni di vita militare. Finita la guerra, il giovane soldato fu impiegato per un lungo periodo nella penisola d’Istria, appena sottratta all’impero Austro-ungarico, dove i soldati italiani sostituirono il personale austriaco nei pubblici uffici. La loro presenza serviva anche per un’azione di controllo delle eventuali reazioni al nuovo governo. Nel 1927 si recherà in pellegrinaggio a “Santa Gorizia”, la città del martirio, la cui liberazione era costata ben undici battaglie. Andrà al cimitero di Redipuglia, con l’animo rattristato dalla consapevolezza del proprio privilegio, davanti a quel Popolo muto.