Memorie di famiglia: Luigi De Angelis
Per raccontare la Grande Guerra dal ‘basso’, cioè come è stata vista, vissuta e descritta dai soldati che la guerra l’hanno fatta, pubblichiamo un estratto dai diari del fante Luigi De Angelis, messi a disposizione dal nipote Valerio De Angelis.
Il sergente Luigi De Angelis nasce a Gavelli, frazione del comune di Sant’Anatolia di Narco, il 12 marzo 1888 da Antonio e Filomena Moneta. Dalle pagine del suo diario trascriviamo la cattura come prigioniero e la deportazione a Mathausen. In questo episodio il racconto collima con quello di Giuseppe Capoccetti di Cascia poichè si fa riferimento ai comandi sbagliati dei superiori, alla fame e alle cattive condizioni di vita.
Come fui fatto prigioniero e come passai la vita.
Il 20 maggio verso le ore 8 di mattina fummo chiesti in rinforzo alla prima linea pochi km passato termine lassammo la baracca in fretta, noi eravamo digiuni perchè si era preso solo caffè e col zaino affardellato si divorava quella strada polverosa; capii me stesso che vi era gran bisogno del mio reggimento e che il nemico si preparava per una crossa avanzata come tuale fu, e si sentiva da vari giorni il rompo incessante del cannone nemico di vari calibri ma nessuno si aspettava ciò che accadde. Si arrivò attempo non curando pericoli passanto ogni ostacolo ma non giovò a nulla perchè fummo male disposti, e presi come il pesce all’amo; ci fu un po’ di confusione ma sempre per comandi sbagliati. io con la mia compagnia mi trovavo alla destra della linia che si proteggeva, la sera dello stesso giorno arrivammo vicino al nemico ma mentre si voleva avanzare alla mia sinistra il nemico aveva già rotto la prima linia. Noi si seppe la mattina del 21 quanto vinne ordine di ritirarzi ma non si era più in tempo, ma mentre la mia compagnia cadeva in mano del nemico, io da solo tentai scappare ma mi viddero e mi tirarono vari colpi di fucile. Accortomi di ciò mi getto a terra per pochi seconti acciò mi avessero perso di vista e così fu, e indietreggiai di vari km ma scappar dalle lor mano mi fu vano: la strada maestra era già in mano loro, il bosco che dovevo percorrere era battuto da fitti strapanel (= shrapnels) e granate così penzando come sarebbe andata la mia sorte seguendo il cammino mi ricovero in un fosso dove era un bon riparo dove verano altri soldati di vari reggimenti e mi accompagnai a loro, anzi mi dietero anche una mezza pagnotta che la divorai come cibo scuisito; ero digiuno e della mia roba avevo solo la mantellina. Così nell’ore lì insieme ci consigliavamo come meglio si poteva recolare; fu deciso di apsettare la notte per scappare inosservati dal nemicoma anche questo progetto andiete in fumo. Verso le ore 3 pomeridiane ci giunsero lì varie squadre all’improvviso: appena ci videro ci fecero segno di arrenderci come subito ubbidimmo, eravamo già disarmati, si sapeva che era ora tarda di fare resistenza, così ci sottoponemmo al loro volere, si vedevano allegri e sereni in viso della vittoria riportata e della gran caccia fatta durante la giornata; ci riuniscono, ci contano, eravamo circa 80, allora un Ufficiale comanda un caporale e pochi sodati che ci avessero condotti nel posto da loro disegnato. Ci portarono via di passo lesto per vie traverze, dopo qualche ora giungemmo in un campo di concitrazione dove vi erano molte baracche, molte adebite come uffici, e vi erano molti ufficiali, soldati e mezzi di trasporto, lì si fece alto era sul far della sera, e lì vi erano quelli presi la mattina più di qualche migliaio, rividi molti miei amici e lì ci scambiammo qualche parola di conforto; ci rinfrescammo con qualche tazza di acqua fresca che cenera abbondante; dopo una menzora di fermata partimmo di nuovo in due grossi trapelli e ci incamminammo verso il piano. Si camminò fino alla menza notte sempre in discesa, la cran polvere levava quasi il respiro: giunsti al destino stanco, vinto dalla fame. Ci rinchiusero in un fosso nel quale scorreva solo acqua e cattiva, e sopra le dure pietre; passai il resto della notte; la stanchezza non sentiva il duro giaciglio, riposavo come sopra un materasso di morbita lana; il giorno appresso ebbi per ristoro una tazza di caffè nero e nulla di più; così passò tutta la giornata del 22, la sera verso le cinque partimmo per Trento invagonati come bestie; mentre eravamo in treno fermi in istazione ci dietero poche gallette, in un secondo le divorai come tanti biscotti. La mattina del 23 giunto a Cardiolo, vicino Trento, e ranchiusi in un reticolato a guisa di ovile: era il primo campo di concentrazione; eravamo tre o quattro mila; quel giorno ci fu dato un po’ di polenta dura, nulla accondimento e mal cotta, e come era buona. Andiete sempre così fino al 26 che partii per Mauthausen dove si migliorò un po’. Fummo ricoverati nelle baracche, appena giunto dovetti sopportare il vagliolo e l’ignizioni anticolerica, il manciare poco e cattivo tre volte al giorno”.
(Trascrizione a cura di Rita Chiaverini).