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30
Mar

Cascia: Adolfo Morini ricorda il sottotenente Santi Giovanni di Poggioprimocaso.

Santi Giovanni, sottotenente di complemento del 151° Reggimento Fanteria, era nato il 15 ottobre 1892 nella frazione di Poggioprimocaso di Cascia. Muore il 6 luglio 1916 sul monte Zebio a causa delle ferite riportate in combattimento. Il Giornale d’Italia il 25 dicembre 1917 pubblicò su Giovanni Santi un articolo scritto da Adolfo Morini. Precedentemente, il 23 febbraio 1917, il consiglio comunale di Cascia, nel commemorare tutti i caduti casciani, ricordò in particolare la figura di Giovanni Santi votando all’unanimità “l’invio di condoglianze e di sensi di ammirazione alla famiglia dell’eroico ufficiale”.

Trascriviamo il dattiloscritto integrale del testo di Adolfo Morini, parzialmente ripreso da Il Giornale d’Italia:

Cascia 22 agosto 1916 – Durante la vittoriosa ricacciata degli Austriaci dai sacri confini d’Italia, sulle balze dirupate del Trentino, cadde il 6 dello scorso luglio, eroicamente pugnando per la grandezza e la gloria della Patria il sottotenente del 151° fanteria GIOVANNI SANTI. Era nato a Poggioprimocaso di Cascia il 15 ottobre 1892, e partì semplice soldato di 2a categoria. Giovane ardente, innamorato della grandezza della Patria, da un anno trovavasi alla fronte. Promosso caporale, poco dopo venne elevato al grado di sottotenente sul campo di battaglia, che per lui fu continua, aspra, faticosa. A capo dei suoi soldati, che l’adoravano, fu costante esempio di coraggio e di abnegazione: primo fra tutti, innanzi a tutti trovò così la morte soave, gloriosa, ambita del prode. “Vi penso continuamente – scriveva ai genitori il 24 luglio dello scorso anno – e da per tutto. Sempre bene, tranquillo e impassibile sto compiendo il mio dovere; sto dando il tributo maggiore che occorre alla Patria, il tributo d’ogni famiglia italiana. Il tributo che spetta alla famiglia Santi, sempre stata esempio di virtù, tocca a me pagarlo. Ed io, chiamato qui a proposito, darò, come per il passato, non solo la prova di questa lealtà, ma voglio servire d’esempio a tutti, sempre, fino all’ultimo, tanto per quei che mi circondano, come per quelli che mi circondarono! Queste poche righe, se vi giungeranno, vi siano il miglior ricordo…. Vi sono da rodere ossi duri: ma avanti ai nostri colpi non resisteranno nemmeno se fossero costruiti e difesi dal diavolo!”. Ed ecco come il bravo Santi scriveva quando dall’Isonzo fu mandato ai primi di giugno nel Trentino per ricacciare l’invasore: “Miei carissimi 5 – 6 – 916 – Vi scrivo dai monti. Dopo un’infinità di passi, attraverso pianure, boschi, gole, siamo finalmente arrivati. Stamattina abbiamo incontrato il nemico festante per le sue conquiste, sparando come indemoniato. Però di qui non passa – è stata la frase pronunciata dal primo all’ultimo soldato della Brigata Sassari – e così sarà. Di salute sempre bene, nonostante le fatiche sopportate in questi giorni di marcia con un tempo più o meno sempre cattivo. Abbiamo finalmente preso contatto col nemico, dopo scalato un monte altissimo, sul quale abbiamo trovato la neve. Immaginate l’impressione avuta, abituato ormai in quelle pianure belle senza l’eguale, in quell’immenso giardino. Siamo qui fra le gole, precipizi, rocce, tutte montagne altissime, uguali. Però ciò non importa, pensando che siamo necessari qui, che qui dobbiamo combattere, e combattere con nemico giubilante per le conquiste avute. Vedremo chi terrà più duro!”. Ed il 17 scriveva allo zio Diamante: “Questa mattina ti scrivo da un’altura non meno alta ed aspra della precedente; per giungere sulla cresta abbiamo marciato tutta la notte filando per uno su per una gola, attraverso rocce e precipizi ove bisognava star bene attenti per non disperdersi e scivolare nei burroni. Il nemico è a pochi passi dalla sommità del monte e giù per il pendio, sempre deciso a continuare la lotta e ad avanzare. Infatti ci ha dato il benvenuto appena arrivati, ma gli è successo come ai pifferi in montagna!”. Le prime vittorie della nostra controffensiva avevano oltremodo entusiasmato il caro Giovannino: “aspiro maggiormente alla vita – scriveva il 20 giugno – perché adesso, più di prima, mi sento di combattere fino a morte l’odiato nemico”. Ed il 28 continuava: “Purché si vinca, non c’è altra soddisfazione che vedere il nemico alzare i talloni”. Era quella soddisfazione che lo rendeva sempre più audace, e ne tranquillava lo spirito, tanto da trovare tra i pericoli e le fatiche anche tempo all’ironia gioconda: “Ho fatto il cecchino – diceva il 29 alla sorella Amina – fino adesso contro il nemico, a brevissima distanza. Mi hanno ferito il fucile, ma questo non ha gridato!…. mentre loro li ho intesi gridare più volte!”. Non si possono scorrere le lettere di questo intrepido senza restare entusiasti del suo stesso entusiasmo. Verrebbe la voglia di copiarle tutte, di trascriverne i periodi ad uno ad uno, perché tutti hanno un fascino grandioso, tutti sono una pagina palpitante di alto, di nobile, di intenso patriottismo. Aveva ricevuto un portafortuna dalla sorella, ed una sua cuginetta gli aveva assicurata l’invulnerabilità per le di lei preghiere: ed invulnerabile fu per lungo tempo, mentre i suoi cadevano intorno, e lo lasciavano pressoché solo: “Giorni belli di azioni brillanti – scriveva il I° luglio – ma sanguinosi… Il mio bel plotoncino è quasi scomparso, e a dire che è stato uno dei più fortunati. Abbiamo attaccato ieri a mezzogiorno con grandi forze. Il nemico annidato in un grande bosco, e ben trincerato, ha resistito tenacemente fino a questa mattina, quando ci siamo ritirati nelle nostre trincee”. Ed il 4 luglio: “In questi giorni ho perduti quasi tutti gli uomini: li ho visti cadere ad uno ad uno, andare avanti, cozzare contro il nemico, senza esitare un momento, fino a pochi rimasti, finché abbiamo vinto. E godevo essere fra questi prodi, in mezzo a un simile spettacolo; ma stamane ho pianto! Anche il capitano è partito dicendomi che sarebbe tornato in compagnia prima di scendere a basso, mentre non è più venuto. Poveretto, non ha avuto il coraggio, ed io l’ho immaginato stamane presto, quando mi ha data la consegna della compagnia. Scrisse l’ultima lettera il 5 luglio rimpiangendo ancora la dipartita del suo capitano; poi cadde col nome d’Italia sulle labbra, a capo di quella compagnia di cui aveva avuto il comando due giorni innanzi! A nulla più valse il talismano della sorella, l’augurio di invulnerabilità inviatogli dalla cuginetta. Sfortunato Giovannino, che pur ebbe la fortuna del bacio della gloria sul campo di battaglia, in faccia alla vittoria! Il Santi ebbe un primo encomio il I° maggio 1916 dal colonnello Mammucari, che così chiudeva l’ordine del giorno: “Un bravo di cuore e una parola di elogio a tali ardimentosi: che la loro bravura sia di esempio a tutti gli intrepidi del Reggimento. Al sottotenente Santi Giovanni, per la sua costante audacia, e per la sua attività esemplare, un mio particolare, vivissimo encomio”. Il 3 giugno successivo ebbe un secondo elogio dallo stesso colonnello; ed il I° luglio un encomio solenne da S. A. R. il Comandante E.F. di Savoia duca d’Aosta. Sappiamo infine che il Santi è stato proposto per la medaglia al valore. Crediamo doveroso per la memoria del giovane eroe riportare il giudizio alto e sereno che di lui ha fatto il colonnello Mammucari nella lettera scritta il 14 luglio al padre Luigi, dimorante nel vicino villaggio di Poggiodomo: “… Con dolore sempre vivo le partecipo la morte di suo figlio Giovanni, sottotenente di questo Reggimento, avvenuta qui sul campo la mattina del 6 corrente. Ufficiale intelligente e di impareggiabile coraggio, zelante adempitore dei suoi doveri, persecutore di un ideale radioso di grandezza della patria diletta, aveva sempre entusiasticamente e spontaneamente offerta tutta la sua balda, attiva opera giovanile per le imprese più ardite. E anche quella mattina, non meno fatale per me che ho perduto in Lui uno dei miei soldati migliori, dopo aver personalmente atteso con animo fermo alla distruzione di forti difese nemiche, consistenti in reticolati di ferro, si era poi lanciato all’assalto della trincea con lo slancio che di lui costituiva una delle virtù militari più belle. È caduto così, per il suo dovere e per il suo sogno, lasciando un vuoto nell’animo degli ufficiali tutti che lo stimavano e ne apprezzavano il valore, ma che sono orgogliosi di averlo avuto ottimo camerata. D. Adolfo Morini».

Il Giornale d’Italia, 25 dicembre 1917, p. 2;  Archivio A. Morini, Biblioteca comunale Augusta, Perugia; L’irto sentiero ovvero le mie memorie, di Giuseppe Capoccetti, a cura di Rita Chiaverini, Egildo Spada, Fuorilinea, Monterotondo, 2014, p. 226.

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