Kobarid Caporetto Karfreit
Il Museo di Caporetto, quasi trent’anni fa, ha posto al centro della sua attività espositiva la narrazione dei combattimenti in alta montagna e l’ultima, la 12. battaglia di “Caporetto”. In questo arco di tempo, in occasione dell’ottantesimo e del novantesimo anniversario della battaglia, ha realizzato due mostre specifiche, tematiche. In occasione del centenario di quegli eventi storici il Museo si è misurato nuovamente con il compito di integrare il suo racconto con un nuovo contributo qualificato.
Senza dubbio la battaglia, citata come “Caporetto”, è soprattutto “una storia italiana”, la “Waterloo” italiana, mentre le denominazioni “Kobarid” e “Karfreit” sono in buona parte già sparite dalla memoria collettiva degli altri popoli. Al visitatore italiano, di fronte all’inondazione di libri su questo argomento, si pone subito l’interrogativo di che cosa sia ancora possibile dire di nuovo su “Caporetto”.
La risposta si trova nelle storie degli uomini che hanno preso parte a questa battaglia. Vicende che sono state rese pubbliche nell’ultimo periodo ed altre, particolarmente preziose, che ci sono state confidate ed affidate dai visitatori stessi del museo. Abbiamo scelto i racconti dei fatti che si sono svolti prevalentemente nel fondovalle e sulle montagne nei dintorni di Caporetto i primi giorni della battaglia. Le testimonianze sono accompagnate da immagini recenti del fronte che vogliono essere un invito a visitare i luoghi e a cercare di comprendere quelle esperienze e le parole “degli uomini in trincea”. A completare il racconto ci sono frammenti di ordini, istruzioni, rapporti ed altri documenti ufficiali degli alti comandi italiani, tratti dalla relazione ufficiale dell’Ufficio storico del comando supremo dell’esercito italiano. La mostra offre così l’occasione di riflettere sulla sorte della gente nel periodo spaventoso della guerra e sul prezzo che è stata costretta a pagare.
La vocazione del Museo si riflette proprio nello stimolo a riflettere sulle conseguenze delle guerre per le persone semplici, quei “piccoli uomini” che non vengono presi in considerazione dai padroni delle guerre nemmeno oggi.